Certo, nell'opporre alle legioni dei diversamente pensanti o diversamente favellanti queste proposizioni apodittiche si è ben consapevoli che esse sono proprio di quelle che possono far sorridere o muovere a scherni verso il filosofo, il qual par che caschi sul mondo come un uomo dell'altro mondo, ignaro di ciò che la realtà è, cieco e sordo alle sue dure fattezze e alla sua voce o ai suoi gridi. Anche senza soffermarsi sugli avvenimenti e sulle condizioni contemporanee onde in molti paesi gli ordini liberali, che furono il grande acquisto del secolo decimonono e sembrarono acquisto in perpetuo, sono crollati e in molti altri s'allarga il desiderio di questo crollo, la storia tutta mostra, con brevi intervalli d'inquieta, malsicura e disordinata libertà, con rari lampeggiamenti di una felicità piuttosto intravista che mai posseduta, un accavallarsi di oppressioni, d'invasioni barbariche, di depredazioni, di tirannie profane ed ecclesiastiche, di guerre tra i popoli e nei popoli, di persecuzioni, di esili e di patiboli. E, con questa vista innanzi agli occhi, il detto che la storia è storia della libertà suona come un'ironia o, asserito sul serio, come una balordaggine.
Senonchè la filosofia non sta al mondo per lasciarsi sopraffare dalla realtà quale si configura nelle immaginazioni percosse e smarrite, ma per interpretarla, sgombrando le immaginazioni. Così, indagando e interpretando, essa, la quale ben sa come l'uomo che rende schiavo l'altro uomo sveglia nell'altro la coscienza di sè e lo avvia alla libertà, vede serenamente succedere a periodi di maggiore altri di minore libertà, perchè quanto più stabilito e indisputato è un ordine liberale, tanto più decade ad abitudine, e, scemando nell'abitudine la vigile coscienza di sè stesso e la prontezza della difesa, si dà luogo ad un vichiano ricorso di ciò che si credeva che non sarebbe mai riapparso al mondo, e che a sua volta aprirà un nuovo corso.»
Benedetto Croce, La Storia come Pensiero e come Azione
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