Appunti di Taccuino
«Ho letto una descrizione tristissima, disperata, delle condizioni d'Italia. Una volta, letture di questa sorta mi davano mezze giornate, giornate o settimane di umor nero. Ora non più: esperienza, scienza e sdegno morale mi hanno, verso di esse, fortificato. Esperienza: perché odo ormai da alcuni decennî, di tratto in tratto, qualcuno o parecchi annunziare e dimostrare che l'Italia sta per disgregarsi politicamente o fallire economicamente o dissolversi nella corruttela o esser trascinata in una guerra, che sará la sua fine come Stato e come Nazione. E nessuno dei disastri profetati à mai accaduto, e molti malanni sono spariti (in cambio, è vero, ne è sorto qualcuno nuovo, ma ciò nell'ordine di natura); e, in complesso, non si sta peggio, e si può dire persino che si sia progredito. Scienza: perché ho appreso che quelle descrizioni pessimistiche debbono di necessità essere esagerate e perciò false, essendo metafisicamente impossibile che una società, anche per un istante, si regga sull'irrazionalità e sul male; e se alcuno non riesce a scorgere la legge razionale di una data configurazione sociale, e se scorge soltanto il male o considera come male la fenomenologia stessa del bene, dia la colpa a se medesimo, che ha mente astratta e non concreta, meccanica e non organica (epperò impotente a comprendere un organismo), analitica, ma di un'analisi senza sintesi. E, infine, sdegno morale; giacché considerare spregiudicatamente e affisare coraggiosamente i duri tratti della realtà per dominarla e operare, è da uomo; ma stare a descrivere il sognato male, così, per descriverlo e per ammazzare il tempo, o peggio ancora per compiacersi di fronte ad esso della propria non meno sognata superiorità, o peggio di peggio, per trarne giustificazione ad accomodarvisi (i pessimisti sono di solito accomodantisti), è da pettegolo, da vanesio e da ciacco. Quella maldicenza è propria della gente volgare, del borghesuccio ozioso; e non v'ha circolo di perditempo in cui non si passino a rassegna gli orrori della presente società e non si presagisca il finimondo. In verità, a petto di cotesti moralisti da caffé o da farmacia (e degli scrittori che ad essi corrispondono), non c'è canaglia o imbroglione o ladruncolo, che non s'irraggi di umana simpatia; perché la canaglia, l'imbroglione e il ladro operano, s'ingegnano, si distreggiano e rischiano la pelle o la libertà, e spesso dal male che essi fanno nasce un bene inaspettato; laddove quei moralisti oziano, e non possono ingenerare altro bene che lo sdegno e la nausea, che suscitano, in coloro in cui la suscitano. - Ma da quando in qua non è più lecito effondere la propria tristezza in presenza dei mali del mondo? - Sí, che è lecito, ma al poeta, il quale, come disse un poeta-filosofo, «con la forma distrugge la materia», ossia la rende ideale; non già al'uomo pratico, al quale condannare un fatto non è lecito senza insieme aiutare il sorgere di un altro fatto che sostituisca il primo (che è condannato giustamente soltanto quando è sostituibile); e chi condanna a questo modo, non si può dire che si compiaccia nel chiacchierare ozioso, perché egli, come può, opera, e dunque, se opera, non è pessimista, ma ottimista.»
Benedetto Croce, Cultura e Vita Morale
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