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quinta-feira, 22 de dezembro de 2011

Magnanimità

«Io non credo che si trovi in tutte le memorie dell'antichità voce più lacrimevole e spaventosa, e con tutto ciò, parlando umanamente, più vera di quella che Marco Bruto, poco innanzi alla morte, si racconta che proferisse in dispregio della virtù: la qual voce, secondo che è riportata da Cassio Dione, è questa: «O virtù miserabile, eri una parola nuda, e io ti seguiva com tu fossi una cosa; ma tu sottostavi alla fortuna». E comunque Plutarco nella vita di Bruto non tocchi distintamente di questa sentenza, laonde Pier Vettori dubita che Dione in questo particolare faccia da poeta più che da storico, si manifesta il contrario per la testimonianza di Floro, il quale afferma che Bruto vicino a morire proruppe esclamando «che la virtù non fosse cosa ma parola». Quei moltissimi che si scandalezzano di Bruto e gli fanno carico della detta sentenza, danno a vedere l'una delle due cose; o che non abbiano mai praticato familiarmente colla virtù, o che non abbiano esperienza degl'infortuni; il che, fuori del primo caso, non pare che si possa credere. E in ogni modo è certo che poco intendono e meno sentono la natura infelicissima delle cose umane, o si meravigliano ciecamente che le dottrine del Cristianesimo non fossero professate avanti di nascere. Quegli altri che torcono le dette parole a dimostrare che Bruto non fosse mai quell'uomo santo e magnanimo che fu riportato vivendo, e conchiudono che morendo si smascherasse, argomentano a rovescio: e se credono che quelle parole gli venissero dall'animo, e che Bruto, dicendo questo, ripudiasse effettivamente la virtù, veggano come si possa lasciare quello che non s'è mai tenuto, e disgiungersi da quello che s'è avuto sempre discosto. Se non l'hanno per sincere, ma pensano che fossero dette con arte e per ostentazione; primieramente che modo è questo di argomentare dalle parole ai fatti, e nel medesimo tempo levar via le parole come vane e fallaci? Volere che i fatti mentano perché si stima che i detti non suonino allo stesso modo, e negare a questi ogni autorità dandoli per finti? Di poi ci hanno a persuadere che un uomo sopraffatto da una calamità eccessiva e irreparabile; disanimato e sdegnato della vita e della fortuna; uscito di tutti i desiderii, e di tutti gl'inganni delle speranze; risoluto di preoccupare il destino mortale e di punirsi della propria infelicità; nell'ora medesima che esso sta per dividersi eternamente dagli uomini, s'affatichi di correr dietro al fantasma della gloria, e vada studiando e componendo le parole e i concetti per ingannare i circostanti, e farsi avere in pregio da quelli che egli si dispone a fuggire, e in quella terra che se gli rappresenta  per odiosissima e dispregevole. Ma basti di ciò.»

Giacomo Leopardi, Scritti d'Amore e di Politica

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