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quarta-feira, 18 de abril de 2012

Disumanità

«Ogni insegnante do filosofia avrà qualche modo di raffigurare la nostra impossibilità ad accedere al regno delle cose-in-sé, per esempio con un cerchio o una linea tracciate rapidamente sulla lavagna, e al di fuori del quale o sotto la quale le nostre facoltà mentali e sensibili non possono penetrare. (Alcuni insegnanti tracceranno lo stesso semplice diagramma anno dopo anno per una vita, ogni volta piú o meno con lo stesso senso che il nostro destino umano vi sia inscritto o emblematizzato. Ritengo che alcuni di questi insegnanti siano su una buona strada, altri su una cattiva, a seconda delle loro capacità di tracciare diagrammi, cioè di allegorizzare). Ma se ora mi chiedo com in effetti raffiguro la barriera che mi preclude il regno dei fini, mi scopro a tracciare uno spazio vuoto.. Forse una buona immagine sarebbe uno schema del mio corpo, in quanto perimetro delle mie facoltà? O dovrei piuttosto cercare di immaginare la collezione di tutte le persone al di fuori di me, con cui io so che dovrei essere, ma non sono, in comunità? O l'assenza di una barriera rappresentabile è qui dovuta piuttosto al fatto che io attribuisco i limiti della comunità non a un insieme di circostanze (come, per esempio, la dimensione sensibile della natura umana) ma a una condizione della volontà, congiunta alla mia incapacità di raffigurare la volontà? Ma cosa in particolare della volontà? Se l'eventuale comunità dell'umanità non è soltanto qualcosa di vicino anoi di cui noi non siamo all'altezza, qualcosa che ci è precluso, allora la sua non-esistenza è dovuta al nostro volere contrario, alla presenza del male morale. Il che significa considerare il male morale come la volontà di esentarsi, di isolarsi, dalla comunità umana. È una scelta della disumanità, della mostruosità. Allora la nostra incapacità di rappresentarci come esclusi dal sociale, o come escludenti il sociale, il nostro tracciare qui uno spazio vuoto potrebbero esprimere un orrore di questa possibilità, insomma un orrore della privacy metafisica, come se la irrappresentabilità fosse una sorta di anonimato. (Questa scelta, questo rifiuto di applicare la legge morale a noi stessi, non deve, penso, essere interpretata come la disobbedienza con cui il Paradiso viene perduto. In quanto creature che hanno perso un legame immediato con il comando, noi siamo tutti disobbedienti; la nostra obbedienza è forzata, è imperativa, ce ne esenteremmo se potessimo. Quando Thoreau vuol esprimere questo concetto, dice che siamo duri d'orecchie. Raskolnikov non disobbedisce semplicemente alla legge in un dato caso, rifiutando di universalizzare la sua massima e di agire per la legge. Lo si può considerare uno che tenta di rifiutare la legge in quanto tale, di agire per l'immortalità, per diventare, diciamo, ingiudicabile. Egli purifica il nostro desiderio di disumanità. Mentre la nostra umana, impura disobbedienza quotidiana non crea l'inferno ma una terra indocile e popolosa).

Stanley Cavell, Alla Ricerca della Felicità

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